La storia della psicoanalisi è costituita da un unico punto
di partenza e numerose diramazioni, alcune più affermate e riconosciute, altre
meno. Le oltre settemila pagine dell’opera di Freud sono così ricche e dense
che il quadro completo del lavoro freudiano risulta, per questi ed altri
motivi, eterogeneo e sfaccettato. D’altronde non poteva che essere così, se
pensiamo che un solo uomo si è trovato a dover sistematizzare - ex novo e nell’arco di una vita umana - una
teoria, una scienza, una pratica terapeutica, uno studio dell’umano quale la
psicoanalisi.
Se risulta difficile mettere a fuoco l’intera opera
freudiana, per la sua vastità ed eterogeneità, è d’altro canto facile vedere
come, in più di un secolo di storia, si siano formate ed individuate numerose
scuole e numerose teorie, tanto che - come ribadisce Mario Rossi Monti - oggi sarebbe
più esatto parlare di Freud come del nonno della psicoanalisi, piuttosto che il
padre, dal momento che la «famiglia analitica» nel corso di un secolo si è
felicemente allargata. Sarebbe, inoltre, più pertinente parlare delle
psicoanalisi piuttosto che della psicoanalisi.[1]
Le diverse scuole psicoanalitiche del dopo Freud si sono formate sulla base di
diverse interpretazioni del testo freudiano; quello che differenzia una scuola
da un’altra è principalmente l’enfasi su una particolare lettura e la maggiore
o minore distanza dall’ortodossia.
Il bivio ermeneutico più conosciuto è forse quello che vede
da una parte l’attenzione privilegiata al mondo psichico, alla realtà psichica
del soggetto, alle fantasie e alla costituzione del pensiero, in definitiva
l’endopsichico; dall’altra parte la maggiore considerazione dell’ambiente
esterno, dello spazio relazionale e delle influenze ambientali sulla
costituzione del mondo psichico del bambino. Ancora, alcune letture si sono
impegnate a rimanere ben ancorate alla parola di Freud, mentre altre hanno optato
per la deriva verso zone inesplorate, chi con gli strumenti dati da Freud e chi
rivisitando gli strumenti stessi.
La singolarità dell’approccio dello psicoanalista parigino
Jacques Lacan alla psicoanalisi freudiana si colloca in questo contesto. Negli anni
in cui la seconda generazione di psicoanalisti doveva raccogliere l’eredità lasciata
da Freud, Lacan si fa autore di una lettura del testo freudiano permeata dalle
nuove acquisizioni scientifiche del primo Novecento nell’ambito delle scienze
umane. Egli affronta l’opera di Freud in
primis utilizzando la lente della moderna linguistica strutturale inaugurata
dall’insegnamento di Ferdinand De Saussure: lo studio del linguaggio – che
Saussure intende nella doppia scansione significante/significato – applicato
alla psicoanalisi. In questa ottica è possibile dare una rilevanza forte al
fenomeno di parola - concetto diverso da quello di linguaggio - cogliendo tutto
ciò che è implicito in esso.
Per Lacan come per molti altri pensatori del Novecento, l’essere umano nasce, cresce e muore
all’interno di una rete, di un contesto condiviso da tutti - e che caratterizza
come “umano” il mondo della realtà - all’interno del quale si danno tutte le
manifestazioni universali dell’umano: la cultura, i simboli, i rituali, la
comunicazione. Questo universo coincide con il linguaggio, l’ordine simbolico
del linguaggio. Non si dà esperienza umana, per Lacan, se non all’interno del
linguaggio, inteso come dispositivo che mette ordine, simbolizza e rende
condivisibile il mondo e la sua molteplicità ed eterogeneità.
Il fatto che l’uomo parli è un fenomeno tanto comune quanto
denso di implicazioni. Che cos’è la parola? Si differenziano tra loro i
fenomeni di parola ed il linguaggio? Uno studio sistematico di questi argomenti,
quale quello di Saussure, ha portato chiarezza su concetti che il senso comune
mescola facilmente: parola, linguaggio, lingua, senso, significante,
significato ed altri ancora. Lacan fa tesoro – “tesoro dei significanti”, come
suole definire il luogo dei significanti, ovvero l’Altro – della linguistica di
Saussure e la applica, o per meglio dire, la implica alla scienza
psicoanalitica: la catena di significanti che il soggetto srotola durante la
sua talking cure [2]
produce qualcosa di più di ciò che è nelle intenzioni comunicative del
soggetto. L’essere umano parla tramite il suo io, la sua volontà, ma pure c’è
una autonomia dell’atto di parola, un voler dire o un non voler dire, un malinteso,
un inciampo, un lapsus.
Ecco allora l’inconscio, la grande scoperta freudiana. I
punti nodali che Lacan accosta sono proprio l’inconscio e la struttura
linguistica. Cosa significa, allora, dire che l’inconscio è strutturato come un
linguaggio? Di questo universo simbolico, mondo umanizzato e reso tale dal
linguaggio, deve far parte anche l’inconscio freudiano. Se il linguaggio prende
l’uomo addirittura da prima della sua nascita biologica, come può l’inconscio
non essere fatto anch’esso di linguaggio?
È questa la tesi di Lacan: l’inconscio risponde alle stesse
leggi che regolano il discorso cosciente. «Quando Freud ci parla
dell’inconscio, non ci dice che esso è strutturato in un certo modo, eppure ce
lo dice, nella misura in cui le leggi che propone, quelle della composizione
dell’inconscio, ricalcano alcune delle leggi di composizione fondamentali del
discorso.»[3]
Il punto in cui discorso cosciente ed inconscio si toccano sta nelle regole
linguistiche alle quali, per essere tale, qualunque linguaggio non può non
sottostare. Tra queste, di primaria importanza per spiegare gli effetti di
produzione (o trattenimento) di significato sono le figure retoriche della
metafora e della metonimia, descritte nella loro logica e funzionamento dal
linguista russo Roman Jakobson e da lui definite come direttrici semantiche del
discorso. La metafora e la metonimia sono proprietà linguistiche basilari che
qualificano il linguaggio.
Dal canto suo, Freud era già venuto a conoscenza di
meccanismi linguistici del genere quando ne L’interpretazione
dei sogni descriveva le due operazioni fondamentali tramite cui il sogno
prende forma: la condensazione e lo spostamento. Senza saperlo, Freud parlava
di operazioni linguistiche dell’inconscio che sono perfettamente paragonabili a
quelle del discorso conscio. Parlare di condensazione è come parlare di
metafora; spostamento è sinonimo di metonimia. Così come il sogno, allora,
tutte le cosiddette formazioni dell’inconscio possono essere interpretabili
nella loro natura di operazioni linguistiche. Il sintomo, il lapsus, l’atto
mancato, il motto di spirito, il sogno sono tutti fenomeni di linguaggio dove
un contenuto inconscio assume una forma - di compromesso - per poter accedere
alla coscienza, per essere espresso. Perché l’inconscio, in Freud come in
Lacan, parla, spinge per esprimersi, chiama risposta.
Freud non ha potuto sovrapporre il campo della sua giovane
scienza a quello della linguistica moderna semplicemente per motivi cronologici.
Ma è rintracciabile, nella sua opera, un’ ideale formazione psicoanalitica all’interno
di un contesto di studi letterari e linguistici, oltre che di antropologia,
mitologia ed altri studi umanistici.
È Freud stesso, dunque, ad intravedere quel fondo in cui la
natura umana è abolita dalla cultura, in cui l’animale uomo con il suo corpo è segnato
irreversibilmente dal significante e trasformato in essere umano, sociale,
culturale, diviso dalla sfera istintuale o pulsionale a vantaggio del programma
della Civiltà, del legame sociale, della comunità. Il discorso che l’Altro
tiene sul soggetto, ovvero le parole che sono state pensate ed enunciate per il
neonato, è il primo passo verso la conquista del linguaggio: inizialmente
passivo e parlato dall’Altro, il soggetto dovrà far proprio il linguaggio,
soggettivarlo, pronunciare e pronunciarsi per, infine, collocarsi nel simbolico.
Il linguaggio, lungi dal’essere solo uno strumento di
comunicazione, coincide in Lacan con l’ordine simbolico del mondo, vale a dire il
mondo degli esseri parlanti che fanno legame sociale, si organizzano in comunità,
rimandano il rapporto sessuale, dispongono del funerale e della sepoltura come
rito per simbolizzare la morte. Il linguaggio è davvero l’origine della civiltà;
è ciò che struttura il mondo umano.
Come ci si posiziona nel simbolico? Dal dialogo con l’antropologo
Claude Lévi-Strauss, Lacan ricava una concezione strutturale dell’Edipo
freudiano e lo descrive come il crocevia strutturale per eccellenza tra lo
stato di natura e quello di cultura. Il bambino che vive appieno le fasi
cruciali di questo periodo dell’infanzia ne uscirà «con i titoli in tasca»[4],
con la possibilità cioè di fare appello, in futuro, alle identificazioni che lo
sosterranno quando sarà il momento di prendere una posizione nel mondo
simbolico degli esseri umani. L’Edipo è, secondo le indagini di Lévi-Strauss,
un dispositivo universale. L’introduzione di un tabù, di una zona interdetta e,
in definitiva, di un primo cardinale “No” sembra essere un dato presente in
tutte le culture.
Accedere alla realtà umana significa accedere al linguaggio.
Accedere, cioè, all’ordine simbolico del linguaggio normativizzato dalla legge
edipica, la legge della parola, di cui il padre è il rappresentante. Lo stesso
padre che distoglie il bambino dall’identificazione narcisistica all’oggetto del desiderio materno e gli
propone un’identificazione simbolica nella forma dell’Ideale dell’io. Dal luogo
e dal tempo in cui si è tutto e si ha tutto, la funzionalità dell’Edipo sta
proprio nel fare del bambino un soggetto che rinunci al suo desiderio di essere
Uno con il materno e che articoli un proprio desiderio nel linguaggio e
nell’Altro.
Si potrebbe parlare, con Agamben, del linguaggio come di un
dispositivo, ossia «qualunque cosa che abbia in qualche modo la capacità di
catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare e
assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri
viventi.» Come a dire, dal momento in cui c’è linguaggio, c’è istituzione, c’è
una regola di comportamento, qualcosa che dispone l’essere umano in un dato
senso. Per Agamben, infatti, il linguaggio è «forse il più antico dei
dispositivi, in cui migliaia e migliaia di anni fa un primate probabilmente
senza rendersi conto delle conseguenze cui andava incontro ebbe l’incoscienza
di farsi catturare.»[5]
AS
AS
[1]
Rossi Monti M., discorso introduttivo al seminario La questione dell’analisi laica, ovvero della psicanalisi, Urbino,
11 dicembre 2012.
[2]
Che la cura avvenga tramite la parola era chiaro già a Bertha Pappenheim, alias Anna O. nello scritto Studi sull’isteria di Breuer e Freud.
Quello che Lacan apporta di nuovo è l’approfondimento logico di questo
fenomeno.
[3]
Lacan J., Il seminario. Libro V. Le
formazioni dell’inconscio. 1957-1958, ,
a cura di Di Ciaccia A., Einaudi, Torino 2004.
[4]
Ivi, p. 172.
[5] Agamben G., Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma 2006, pp. 21-22.