venerdì 14 settembre 2012

SALENTO E MAGIA



Ogni anno, in agosto, diversi comuni salentini si fanno teatro della più importante tradizione del folclore del luogo. Anzi, oserei dire dell'intero folclore italiano, a giudicare dal successo esponenziale riscosso nel tempo: un pubblico di più di 100.000 persone, maestri d'orchestra del calibro di Goran Bregović, Ludovico Einaudi, Mauro Pagani, fino ad essere proposta al di là dei confini geografici e soprattutto culturali, in città come Pechino, Amman e Duisburg. Parlo della Notte della Taranta, festival di musica popolare salentina con epicentro a Melpignano, il comune dove si realizza il concertone finale. Negli ultimi anni sembra esserci stato un vero e proprio contagio, sempre più gente si è appassionata alla danza e alla musica e credo che sia difficile, ad oggi, vedere persone non ballare, non muoversi a ritmo, all'ascolto di una pizzica. Credo che l'idea sia condivisibile da chiunque: la pizzica è una musica che è stata creata allo scopo di far muovere il corpo. Sembra proprio che il corpo vada da sé; l'impulso a ballare, a muoversi, si fa sentire benissimo, specialmente nelle donne. Un fatto, questo, che si conosceva bene alle origini del fenomeno del tarantismo.
"Tarantismo" è il termine che descrive un fenomeno socio-culturale che ha caratterizzato il Salento fin dal Medioevo. Scomparso come rito culturale, oggi viene rievocato sotto forma di festa, di pizzica da ballare nelle piazze salentine e non. Si trattava effettivamente di una sorta di danza, ma tutt'altro che divertente. 
La leggenda narra che il morso della taranta, un ragno che si aggirava nei campi di coltivazione, provocava crisi isteriche convulsive. La tradizione popolare riteneva che alcuni musicanti fossero in grado, suonando la "pizzica", di guarire o almeno lenire lo stato di "pizzicata". Attraverso una suonata, che poteva durare anche giorni, cercavano di trovare la combinazione di vibrazioni con le note dei loro strumenti. Venivano utilizzati diversi strumenti, in particolare il tamburello, diventato poi un simbolo di questa tradizione. Ancora oggi sono diffuse espressioni scherzose del tipo "Ti ha morso la tarantola?" rivolte soprattutto a bambini vivaci o persone particolarmente irrequiete. La donna che si supponeva essere stata pizzicata dalla taranta, o tarantola, prendeva il nome di tarantata. In realtà, diverse ricerche hanno ampiamente dimostrato che il morso della tarantola, seppur molto doloroso, è praticamente innocuo. La taranta era, quindi, l'animale simbolico che fungeva da capro espiatorio. Le vittime erano frequentemente giovani nubili donne in età da matrimonio, in periodo estivo. Un gruppo di musicanti faceva ballare la tarantata fino allo sfinimento, nella speranza di estirpare il veleno dal corpo. La cura era quindi focalizzata sul corpo.
Si trattava di magia, di pensiero magico sull'eziologia, la diagnosi e la cura. Ma la denotazione di pensiero magico può trarre in inganno, perché fa spesso pensare a popoli ignoranti che non posseggono i nostri strumenti conoscitivi, scientifici e quindi esatti. Quando si studiano i fenomeni culturali in vivo, ci si accorge della ricchezza simbolica di simili pratiche.
Ernesto De Martino è stato un importante antropologo ed etnografo italiano che si è occupato, per tutta la sua carriera, nel corso della prima metà del Novecento, della questione del Sud e delle sue tradizioni culturali e religiose. Nel 1959 De Martino raggiunge Galatina, provincia di Lecce, per osservare e studiare il fenomeno del tarantismo e per provare a comprenderlo ed interpretarlo alla luce delle conoscenze psicoanalitiche, che in quegli anni rappresentavano uno strumento rivoluzionario nelle mani delle scienze umane. I risultati della ricerca sono stati successivamente condensati nel libro "La terra del rimorso - contributo a una storia religiosa del Sud". Dallo studio del contesto culturale e di alcuni casi, De Martino arriva a concludere che il tarantismo poteva essere considerato come  


Un dispositivo simbolico mediante il quale un contenuto psichico conflittuale che non aveva trovato soluzione sul piano della coscienza, e che operava nell'oscurità dell'inconscio rischiando di farsi valere come simbolo nevrotico, veniva evocato e configurato sul piano mitico-rituale, e su tale piano fatto defluire e realizzato periodicamente, alleggerendo del peso delle sue sollecitazioni i periodi intercerimoniali e facilitando per quei periodi un relativo equilibrio psichico.
Ernesto De Martino, La terra del rimorso, Il saggiatore, Milano, 1961.            
       
 
Un conflitto tra istanze diverse del soggetto, vale a dire un pensiero, un discorso soggettivo, personale,  "non trova soluzione sul piano della coscienza", quindi non può esser detto, non si riesce a tradurlo, ad esternarlo tramite il linguaggio. O meglio, tramite la parola. Quando la parola non può esprimere tutta la verità del soggetto, questa verità può farsi presente in altri modi nel campo del linguaggio, nel campo del simbolico. Ecco, allora il "dispositivo simbolico" di cui parla De Martino.
Questo discorso sull'antropologia culturale può essere fatto continuare nel campo attiguo della psicoanalisi. Abbiamo a disposizione la lezione dell'isteria, patologia mentale il cui studio da parte di Freud ha segnato gli inizi della scienza psicoanalitica. "La clinica dell'isteria è una clinica del corpo" dice Massimo Recalcati, compendiando Freud e Lacan. La conversione somatica è appunto conversione del conflitto psichico inconscio in fenomeni che riguardano il corpo, che vedono protagonista il corpo nella messa in scena di pensieri che non hanno accesso alla coscienza. Corpo simbolico, continua Jacques Lacan, perché questo corpo, lungi dall'essere ridotto all'organismo, è rivestito dei simboli che la storia, la cultura e la famiglia offrono all'individuo. I vestiti, il taglio di capelli, la gonna più lunga o più corta, i piercing, i tatuaggi. Ma anche le posture, le gestualità, il modo di camminare e di muoversi. Il corpo, in quanto segnato dai simboli, parla di noi. Da una parte c'è l'organismo, che può ammalarsi, danneggiarsi, essere bersaglio di virus e poi necessitare di cure e terapie; dall'altra parte c'è il corpo, che parla, che può farsi "teatro di una messa in scena significante", dice Lacan, che può cioè essere il  soggetto di tutti quei quadri isteriformi (ma non solo!) che la psichiatria organicista non riesce ancora oggi a spiegare. Il sintomo di conversione somatica è il rappresentante simbolico di un pensiero rimosso.
Quando De Martino parla di dispositivo simbolico si riferisce a questo. Simbolico è quel linguaggio, propriamente umano, messo in luce da Jacques Lacan, in cui le cose significano altre cose e queste altre ancora. Tramite il simbolo l'uomo ha la possibilità di mettere in forma i contenuti dell'inconscio. Questi simboli costituiscono la cultura di un popolo e sappiamo, dagli studi di Claude Lévi-Strauss, che tutti i popoli utilizzano il simbolo come codice culturale. Lévi-Strauss esplicita l'idea di un ordine simbolico strutturante la realtà interumana.

Ogni cultura può essere considerata come un insieme di sistemi simbolici in cui, al primo posto, si collocano il linguaggio, le regole matrimoniali, i rapporti economici, l'arte, la scienza e la religione.
Claude Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1980.          

Da una cultura scaturiscono le regole per i rapporti sociali e la vita di comunità, ma con le regole si danno anche le eccezioni, le modalità che un individuo deve assumere per manifestare un disagio, un conflitto inconscio. Georges Devereux, con i suoi studi di etnopsichiatria, ha mostrato che la cultura forgia modi di essere normali e patologici. Come a dire: "Non impazzire! Ma se non ci riesci, allora fallo in questo modo."
Così dalla storia e dalla cultura del Salento è nato il fenomeno del tarantismo. Il Sud Italia, per De Martino, era la terra del rimorso, "terra del cattivo passato che orna e opprime col suo rigurgito".

Questa è la terra di Puglia e del Salento, spaccata dal sole e dalla solitudine, dove l'uomo cammina sui lentishi e sulla creta. Scricchiola e si corrode ogni pietra da secoli. Anche le pietre squadrate, tirate su dall'uomo, le case grezze, le chiese destinate alla misura del dolore e della speranza, seccano e cadono nel silenzio. Avara è l'acqua a scendere dal cielo, gli animali battono con gli zoccoli un tempo che ha invisibili mutamenti. È terra di veleni animali e vegetali qui cresce nella natura il ragno della follia e dell'assenza, si insinua nel sangue di corpi delicati che conoscono solo il lavoro arido della terra, distruttore della minima pace del giorno. Qui cresce tra le spighe di grano e le foglie del tabacco la superstizione, il terrore, l'ansia di una stregoneria possibile, domestica. I geni pagani della casa sembrano resistere ad una profonda metamorfosi tentata da una civiltà durante millenni.
 Salvatore Quasimodo, commento a La Taranta, documentario di Gianfranco Mengozzi, 1962.               





































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