martedì 30 ottobre 2012

FARE RIZOMA E NON METTERE RADICI

Rizoma è il nome di un'associazione studentesca e culturale che abbiamo creato da poco. Siamo un piccolo gruppo di studenti della Carlo Bo e con questo dispositivo ci proponiamo di portare un contributo, in termini di eventi culturali, nell'ambiente universitario.
Abbiamo fondato Rizoma perché vogliamo diventare i creatori di quello che ci piacerebbe vedere negli ambienti universitari: più spazio.
Spazio agli eventi culturali;
spazio alle scienze dell'uomo, all'antropologia, alla filosofia, alla psicoanalisi, alla linguistica, alla letteratura, alla critica letteraria, oltre che alla psicologia;
spazio ai seminari multidisciplinari;
spazio alla formazione e anche all'informazione (sui fatti e non dei fatti, direbbe Carmelo Bene);
spazio all'arte in tutte le sue forme;
spazio alla riflessione e al pensiero critico, cos'è scienza? cosa non lo è?
spazio alla cultura, ai laboratori culturali.
Vogliamo utilizzare questo dispositivo per creare spazi culturali.
Crediamo che ci sia poca comunicazione fra il sapere interno all'università e quello esterno ad essa, seppur per motivi logici e naturali. Con Rizoma ci proponiamo di creare questa comunicazione.
Rizoma è Alessandro Siciliano, Stefano Paternò, Cristel Marcelletti Lattanzi, Edoardo Grisogani, Alberto Vacca Lepri.


AS

venerdì 14 settembre 2012

SALENTO E MAGIA



Ogni anno, in agosto, diversi comuni salentini si fanno teatro della più importante tradizione del folclore del luogo. Anzi, oserei dire dell'intero folclore italiano, a giudicare dal successo esponenziale riscosso nel tempo: un pubblico di più di 100.000 persone, maestri d'orchestra del calibro di Goran Bregović, Ludovico Einaudi, Mauro Pagani, fino ad essere proposta al di là dei confini geografici e soprattutto culturali, in città come Pechino, Amman e Duisburg. Parlo della Notte della Taranta, festival di musica popolare salentina con epicentro a Melpignano, il comune dove si realizza il concertone finale. Negli ultimi anni sembra esserci stato un vero e proprio contagio, sempre più gente si è appassionata alla danza e alla musica e credo che sia difficile, ad oggi, vedere persone non ballare, non muoversi a ritmo, all'ascolto di una pizzica. Credo che l'idea sia condivisibile da chiunque: la pizzica è una musica che è stata creata allo scopo di far muovere il corpo. Sembra proprio che il corpo vada da sé; l'impulso a ballare, a muoversi, si fa sentire benissimo, specialmente nelle donne. Un fatto, questo, che si conosceva bene alle origini del fenomeno del tarantismo.
"Tarantismo" è il termine che descrive un fenomeno socio-culturale che ha caratterizzato il Salento fin dal Medioevo. Scomparso come rito culturale, oggi viene rievocato sotto forma di festa, di pizzica da ballare nelle piazze salentine e non. Si trattava effettivamente di una sorta di danza, ma tutt'altro che divertente. 
La leggenda narra che il morso della taranta, un ragno che si aggirava nei campi di coltivazione, provocava crisi isteriche convulsive. La tradizione popolare riteneva che alcuni musicanti fossero in grado, suonando la "pizzica", di guarire o almeno lenire lo stato di "pizzicata". Attraverso una suonata, che poteva durare anche giorni, cercavano di trovare la combinazione di vibrazioni con le note dei loro strumenti. Venivano utilizzati diversi strumenti, in particolare il tamburello, diventato poi un simbolo di questa tradizione. Ancora oggi sono diffuse espressioni scherzose del tipo "Ti ha morso la tarantola?" rivolte soprattutto a bambini vivaci o persone particolarmente irrequiete. La donna che si supponeva essere stata pizzicata dalla taranta, o tarantola, prendeva il nome di tarantata. In realtà, diverse ricerche hanno ampiamente dimostrato che il morso della tarantola, seppur molto doloroso, è praticamente innocuo. La taranta era, quindi, l'animale simbolico che fungeva da capro espiatorio. Le vittime erano frequentemente giovani nubili donne in età da matrimonio, in periodo estivo. Un gruppo di musicanti faceva ballare la tarantata fino allo sfinimento, nella speranza di estirpare il veleno dal corpo. La cura era quindi focalizzata sul corpo.
Si trattava di magia, di pensiero magico sull'eziologia, la diagnosi e la cura. Ma la denotazione di pensiero magico può trarre in inganno, perché fa spesso pensare a popoli ignoranti che non posseggono i nostri strumenti conoscitivi, scientifici e quindi esatti. Quando si studiano i fenomeni culturali in vivo, ci si accorge della ricchezza simbolica di simili pratiche.
Ernesto De Martino è stato un importante antropologo ed etnografo italiano che si è occupato, per tutta la sua carriera, nel corso della prima metà del Novecento, della questione del Sud e delle sue tradizioni culturali e religiose. Nel 1959 De Martino raggiunge Galatina, provincia di Lecce, per osservare e studiare il fenomeno del tarantismo e per provare a comprenderlo ed interpretarlo alla luce delle conoscenze psicoanalitiche, che in quegli anni rappresentavano uno strumento rivoluzionario nelle mani delle scienze umane. I risultati della ricerca sono stati successivamente condensati nel libro "La terra del rimorso - contributo a una storia religiosa del Sud". Dallo studio del contesto culturale e di alcuni casi, De Martino arriva a concludere che il tarantismo poteva essere considerato come  


Un dispositivo simbolico mediante il quale un contenuto psichico conflittuale che non aveva trovato soluzione sul piano della coscienza, e che operava nell'oscurità dell'inconscio rischiando di farsi valere come simbolo nevrotico, veniva evocato e configurato sul piano mitico-rituale, e su tale piano fatto defluire e realizzato periodicamente, alleggerendo del peso delle sue sollecitazioni i periodi intercerimoniali e facilitando per quei periodi un relativo equilibrio psichico.
Ernesto De Martino, La terra del rimorso, Il saggiatore, Milano, 1961.            
       
 
Un conflitto tra istanze diverse del soggetto, vale a dire un pensiero, un discorso soggettivo, personale,  "non trova soluzione sul piano della coscienza", quindi non può esser detto, non si riesce a tradurlo, ad esternarlo tramite il linguaggio. O meglio, tramite la parola. Quando la parola non può esprimere tutta la verità del soggetto, questa verità può farsi presente in altri modi nel campo del linguaggio, nel campo del simbolico. Ecco, allora il "dispositivo simbolico" di cui parla De Martino.
Questo discorso sull'antropologia culturale può essere fatto continuare nel campo attiguo della psicoanalisi. Abbiamo a disposizione la lezione dell'isteria, patologia mentale il cui studio da parte di Freud ha segnato gli inizi della scienza psicoanalitica. "La clinica dell'isteria è una clinica del corpo" dice Massimo Recalcati, compendiando Freud e Lacan. La conversione somatica è appunto conversione del conflitto psichico inconscio in fenomeni che riguardano il corpo, che vedono protagonista il corpo nella messa in scena di pensieri che non hanno accesso alla coscienza. Corpo simbolico, continua Jacques Lacan, perché questo corpo, lungi dall'essere ridotto all'organismo, è rivestito dei simboli che la storia, la cultura e la famiglia offrono all'individuo. I vestiti, il taglio di capelli, la gonna più lunga o più corta, i piercing, i tatuaggi. Ma anche le posture, le gestualità, il modo di camminare e di muoversi. Il corpo, in quanto segnato dai simboli, parla di noi. Da una parte c'è l'organismo, che può ammalarsi, danneggiarsi, essere bersaglio di virus e poi necessitare di cure e terapie; dall'altra parte c'è il corpo, che parla, che può farsi "teatro di una messa in scena significante", dice Lacan, che può cioè essere il  soggetto di tutti quei quadri isteriformi (ma non solo!) che la psichiatria organicista non riesce ancora oggi a spiegare. Il sintomo di conversione somatica è il rappresentante simbolico di un pensiero rimosso.
Quando De Martino parla di dispositivo simbolico si riferisce a questo. Simbolico è quel linguaggio, propriamente umano, messo in luce da Jacques Lacan, in cui le cose significano altre cose e queste altre ancora. Tramite il simbolo l'uomo ha la possibilità di mettere in forma i contenuti dell'inconscio. Questi simboli costituiscono la cultura di un popolo e sappiamo, dagli studi di Claude Lévi-Strauss, che tutti i popoli utilizzano il simbolo come codice culturale. Lévi-Strauss esplicita l'idea di un ordine simbolico strutturante la realtà interumana.

Ogni cultura può essere considerata come un insieme di sistemi simbolici in cui, al primo posto, si collocano il linguaggio, le regole matrimoniali, i rapporti economici, l'arte, la scienza e la religione.
Claude Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1980.          

Da una cultura scaturiscono le regole per i rapporti sociali e la vita di comunità, ma con le regole si danno anche le eccezioni, le modalità che un individuo deve assumere per manifestare un disagio, un conflitto inconscio. Georges Devereux, con i suoi studi di etnopsichiatria, ha mostrato che la cultura forgia modi di essere normali e patologici. Come a dire: "Non impazzire! Ma se non ci riesci, allora fallo in questo modo."
Così dalla storia e dalla cultura del Salento è nato il fenomeno del tarantismo. Il Sud Italia, per De Martino, era la terra del rimorso, "terra del cattivo passato che orna e opprime col suo rigurgito".

Questa è la terra di Puglia e del Salento, spaccata dal sole e dalla solitudine, dove l'uomo cammina sui lentishi e sulla creta. Scricchiola e si corrode ogni pietra da secoli. Anche le pietre squadrate, tirate su dall'uomo, le case grezze, le chiese destinate alla misura del dolore e della speranza, seccano e cadono nel silenzio. Avara è l'acqua a scendere dal cielo, gli animali battono con gli zoccoli un tempo che ha invisibili mutamenti. È terra di veleni animali e vegetali qui cresce nella natura il ragno della follia e dell'assenza, si insinua nel sangue di corpi delicati che conoscono solo il lavoro arido della terra, distruttore della minima pace del giorno. Qui cresce tra le spighe di grano e le foglie del tabacco la superstizione, il terrore, l'ansia di una stregoneria possibile, domestica. I geni pagani della casa sembrano resistere ad una profonda metamorfosi tentata da una civiltà durante millenni.
 Salvatore Quasimodo, commento a La Taranta, documentario di Gianfranco Mengozzi, 1962.               





































AS

lunedì 9 luglio 2012

SOGNO NUMERO 1

Che si avverino i loro desideri... che possano crederci
e che possano ridere delle loro passioni!
Infatti, ciò che chiamiamo passione in realtà non è energia spirituale,
ma solo attrito tra l'animo e il mondo esterno.
E, soprattutto, che possano credere in se stessi
e che diventino indifesi come bambini
perchè la debolezza è potenza
e la forza è niente.
Quando l'uomo nasce è debole e duttile,
quando muore è forte e rigido.
Così come l'albero, mentre cresce, è tenero e flessibile
e quando è duro e secco, muore.
Rigidità e forza sono compagni della morte.
Debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza.
Ciò che si è irrigidito non vincerà.


Arsenij Tarkovskij

mercoledì 27 giugno 2012

L'ANNOSO PROBLEMA DELLA DITTATURA DEL DSM

Dopo un primo periodo di apprendimento passivo, dopo i primi passi nel campo dell' Università, ho cominciato a farmi qualche domanda. Ad alcune domande sembra non ci siano risposte pronte, o meglio, ci possono anche essere, ma ciò che è importante è che il soggetto assuma la sua risposta. L'assunzione di una risposta sarà, poi, una coordinata simbolica che delimiterà il campo identitario del soggetto. E' una responsabilità!
La mia Domanda, per eccellenza, in quanto studente di psicologia, riguarda ed ha sempre riguardato il problema del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali. Cosa è in realtà il DSM?
Criticato dai più, alle soglie della sua V edizione, il DSM è la bibbia della psichiatria odierna, un libro che stabilisce chi è malato di mente e chi no.
Mentre penso a cosa scrivere, mi accorgo che faccio fatica ad organizzare un pensiero, perché il tema è tanto complesso quanti sono i piani su cui si gioca il dibattito: ideologia, politica, economia, scienza, statistica. A partire dal 1980, anno della III edizione, la task force del DSM veste il manuale di due nuovi significanti: "ateoretico" e "descrittivo". Sulla ateoreticità si dice spesso nell'Università che sia uno dei maggiori punti di forza del manuale, in quanto da questa scaturisce un linguaggio non "contaminato" da nessuno dei pensieri storici della Psicopatologia, dunque un linguaggio impersonale e, finalmente, universale. La diversità di pensiero, quindi, è stata considerata come un problema al quale si è trovata una soluzione! Ma è davvero possibile muoversi nel campo sconfinato e indefinito della patologia mentale senza utilizzare una teoria, una bussola? E in quanto alla descrittività, penso che termini come "congruo", "bizzarro", "strano", "incoerente", che ricorrono nel manuale, siano viziati da un giudizio personale che tradisce l'intento della nosografia di essere puramente descrittiva.
Credo che i problemi, storicamente, siano cominciati da qui, cioè dal momento in cui è stato deciso di applicare ad una nosografia psichiatrica (descrizione di malattie e diagnosi) uno statuto scientifico forte. 
La realtà, però, è che il DSM, ancora oggi, di scientifico ha solo la facciata. Il DSM è lontano tanto dalla Psicopatologia Clinica, dal pensiero psichiatrico, fenomenologico e psicanalitico di tutto il Novecento, quanto dalla scientificità che è supposta essere alla base del manuale. Il DSM non ha nulla di scientifico e le dimostrazioni che avvalorano questa tesi sono moltissime. Nelle facoltà di psicologia studiamo valanghe di pagine che parlano del DSM e non mi è mai capitato di leggere nulla di positivo riguardo al manuale. Non un punto forte, non una spiegazione logica del perchè viene utilizzato dai clinici e dalle istituzioni di tutto il mondo. Se non una asserzione: "Ha creato un linguaggio unico e condiviso grazie al quale i clinici di tutto il mondo possono comunicare senza difficoltà".
Personalmente, non credo che questo sia un fatto positivo come può sembrare. Trovo, piuttosto, che il linguaggio comune sia stato imposto. O meglio, stemperando un po' il tono paranoico, credo che un manuale  ben organizzato (forte validità interna a discapito di quella esterna), con un nome per ogni cosa (una diagnosi per ogni sintomo) e con finalità puramente descrittive (se non esiste causalità psicologica, il passo è breve perché si ipotizzi quella organica, con conseguenti terapie farmacologiche create "ad hoc") abbia attirato l'attenzione di chi, anche nel campo della malattia mentale, desidera pensare che ad A corrisponda sempre B.
Alla fine del mio percorso di studi, mi dispiace un po' conoscere a memoria i criteri diagnostici del disturbo schizoide di personalità e non saperne molto della schizoidia; avere bene in mente le differenze tra il disturbo ossessivo compulsivo in asse II e quello in asse I ma non saperne molto del pensiero magico dell'ossessivo, di chi è l'ossessivo e chi è lo schizoide.
Pubblico qui sotto il manifesto Anti-DSM, "manifesto a favore di una psicopatologia clinica che non sia solo statistica".

http://www.alidipsicoanalisi.it/manifesto-a-favore-di-una-psicopatologia-clinica-che-non-sia-solo-statistica.html

In questa pagina e nel manifesto vero e proprio sono spiegati in maniera molto dettagliata tutti i punti deboli tecnici, scientifici ed espistemologici che fanno del DSM un manuale diagnostico che fa acqua da tutte le parti, con le dovute conseguenze nocive, per la scienza e per l'uomo.
Da un secolo di psicoanalisi, psichiatria, fenomenologia, è stato creato un sapere che va ben al di là di una mera, piatta lista dei sintomi. Spero che sarete d'accordo con me.

AS

martedì 12 giugno 2012

DI VENERE E DI MARTE

Oggi è Martedì. Secondo un detto tradizionale, avrei potuto aspettare domani per cominciare a scrivere.
Mi chiamo Alessandro, 24 anni, studio psicologia clinica all'università di Urbino. Sono alla fine dell'ultimo anno di studi. Apro questo blog perchè penso sempre un sacco di cose, molte delle quali riguardano il mio ambito, le scienze psi. Ho deciso di creare uno spazio dove (spero) poterle esternare, espormi alle critiche e apprendere qualcosa di nuovo dal pensiero degli altri, cambiare un'idea o rafforzarne un'altra.
Il dibattito (?) che si crea nelle aule universitarie è spesso insoddisfacente per me, e penso che esista una forte tendenza ad adagiarsi su un particolare tipo di sapere che ha sempre le stesse caratteristiche: la novità, la semplicità, la operazionalizzabilità. L'ultima, in particolare, è secondo me la chiave per comprendere il pensiero alla base dell'attuale psicologia. Questo sapere lo considero, inoltre, a volte stagnante, ripetitivo e riciclato.
Credo, poi, che la logica dell'insegnamento universitario possa, il più delle volte, essere rappresentata come un riempire dei vasi. Personalmente, ho sempre trovato maggior soddisfazione ad immaginarmi come una fiamma da alimentare piuttosto che come un vaso da riempire, e a sentirmi pensato dai professori in questo modo.
La cosa che più di tutte mi muove a scrivere qui è il costante arginamento della psicoanalisi che si legge sui libri di testo. Non di tutta la psicoanalisi però, perchè esiste una grande parte che, nel corso degli anni, ha assunto sembianze più morbide, più convincenti, più operazionalizzabili, per presentarsi al cospetto della Scienza e per poter farne parte. Fino a cambiare nome! Non "psicoanalisi" ma "psicoterapia dinamica".
Di tutti i dibattiti che si potrebbero aprire intorno a questo grosso tema, a me interessa uno in particolare: quella psicoanalisi che ha scelto di non aderire al discorso conformistico della Scienza oggi è, dai più, vista come inefficace, non empirica. Termini come "ortodossa", "classica" e anche "psicoanalisi" sono indicatori, per chi studia, di un discorso antico e palesemente non più efficace. "Pulsione", "Edipo", "Castrazione", fino ad arrivare alle tristi sorti di "Inconscio" che oggi è "Inconsapevole", "Implicito". Così uno studente incontra puntualmente questi termini e, a seguire, frasi come "oggi non si pensa più...", "oggi i terapeuti preferiscono pensare che...". Non esiste una controparte! Nessuno risponde! Non vengono mai spiegati i passaggi attraverso i quali oggi è giustificata la scelta di moderare, limitare, il linguaggio e la mentalità psicoanalitici, se non qualche riferimento storico privo di spiegazione. Gli studenti, così, imparano che la psicoanalisi è inefficace, superata. Imparano solo questo. Molti non sanno se è realmente così, per quali motivi; insomma non c'è argomentazione.
Ho pensato di utilizzare questo blog per mettere in discussione, con chi leggerà, argomenti che troppo spesso, nel mondo accademico, passano come ovvi.
Io credo che esista una forte avversione a tutto ciò che è ascrivibile al campo dell'inconscio e di pari passo va il tentativo scientista di far quadrare i conti, di operazionalizzare. Applicare il metodo scientifico alla dimensione psichica significa salvare tutto quello che è logico e dotato di senso e scartare tutto quello che non ha senso e non rientra nel regolamento. è questo il discorso alla base, per esempio, dei disegni di ricerca randomizzati e controllati.
I libri di testo universitari sono allagati da un linguaggio ultratecnico e ultrascientifico che mi fa sempre pensare ad un nulla. Ogni volta che, mentalmente, decifro quelle catene di significanti, mi accorgo che manca il soggetto! Manca il soggetto dell'inconscio. Questo, per me, è un altro motivo di insofferenza.
Ho intenzione di scrivere dei post citando alla lettera qualche riga che incontro studiando, così da mettere in movimento discorsi che sembrano scritti sulla pietra.
Spero davvero di avere delle discussioni gustose, fatte di parole cariche di soggettività.

AS